Supplemento a
RECENTI PROGRESSI IN MEDICINA
volume 111 | numero 7 | luglio 2020
CONFERENZE STAMPA,
APP E SOCIAL MEDIA:
I DIVERSI APPROCCI
DELLE REGIONI ITALIANE
A cura di Fabio Ambrosino
e Rebecca De Fiore

Sappiamo bene che in Italia i sistemi sanitari sono regionali, ma anche questa volta, con lo scoppio dell’emergenza da covid-19, è mancata una coerenza nella diffusione dei dati per garantire a tutti i cittadini la stessa consapevolezza. A seconda della Regione in cui si vive, infatti, in questo periodo si è riusciti ad avere accesso a più o meno informazioni sulla diffusione del nuovo coronavirus. “Questo fatto non mi stupisce perché le Regioni non hanno strutture interne dedicate alla comunicazione del rischio, e tantomeno alla comunicazione di una pandemia che dovrebbe essere gestita anzitutto a livello centrale”, commenta Giancarlo Sturloni. “A livello regionale ci sono tanti progetti ed esperienze – continua – ma manca una strutturazione più solida sulla comunicazione tecnico-scientifica. La maggior parte delle volte, poi, si tratta di una comunicazione politica dal momento che spesso si fa affidamento all’ufficio stampa della Regione”.
Le tabelle fotografano la situazione nel mese di marzo 2020, in termini di contenuti condivisi dalle singole regioni sui propri siti web e social media ufficiali, ed è frutto di una ricerca manuale eseguita a fine marzo. Dal punto di vista della comunicazione istituzionale alla cittadinanza, la prima risposta da parte delle Regioni è stata molto eterogenea. La principale differenza riguarda i dati condivisi sui siti web regionali: nella prima fase ogni Regione è andata per conto suo, sia per il tipo di dato condiviso che per la forma con cui veniva comunicato. Solo 6 Regioni su 21 (contando separatamente Trento e Bolzano) pubblicavano i dati usando tabelle o infografiche e non solo come testo di un comunicato stampa. Solo la Provincia autonoma di Bolzano pubblicava già a marzo i dati in formato aperto, prima cioè di quando ha iniziato a farlo la Protezione civile. Poche Regioni condividevano i dati sui ricoveri per Asl e ospedale, e fra chi lo faceva c’era chi pubblicava la sommatoria e chi anche i nuovi ricoveri giornalieri, differenziando fra terapie intensive e non.

INK #1 | La comunicazione nell‘emergenza covid-19 Conferenze stampa, app e social media: i diversi approcci delle regioni italiane
Pochissime le Regioni che condividevano i dati sui nuovi casi a livello comunale. Va detto, però, che la Regione Lazio e la Regione Liguria nelle primissime settimane della pandemia pubblicavano i dati sui ricoveri per Asl sui social media, anche se non ancora sul proprio sito web. Diversificata anche la comunicazione sui canali social. Alcune Regioni già a marzo avevano utilizzato i propri account per diffondere i dati (alcuni con maggiori dettagli e con infografiche create ad hoc per i social, rispetto a quanto riportato nei siti web) e alcune anche per frequenti dirette video per informare la cittadinanza. Molte Regioni, inoltre, inviavano comunicati stampa con i dati ai giornali, ma non sempre questi dati venivano anche condivisi con la popolazione sui siti web ufficiali della Regione. La buona notizia è che nei due mesi successivi, in particolare a partire da fine aprile, anche le Regioni meno allineate hanno potenziato la propria comunicazione. A fine maggio la situazione è sostanzialmente uniforme.
LA REGIONE LOMBARDIA,
POCA TRASPARENZA
NEL COMUNICARE I DATI?
Nella Regione Lombardia l’emergenza è stata gestita in buona parte dalla macchina amministrativa regionale, con in prima linea il presidente delle Regione Attilio Fontana e l’assessore alla sanità e al welfare Giulio Gallera. “Sicuramente la scelta della Regione Lombardia è stata che la voce di riferimento fosse la voce della giunta, molto politica, supportata poi da un comitato scientifico”, ci confermano dalla Regione. Una scelta, forse, azzardata, stando alle critiche ricevute. “In Lombardia, davanti a una situazione drammatica come quella che stavamo vivendo, l’impressione che hanno dato sia il presidente, sia gli assessori, sia chi gestiva le conferenze stampa è che l’obiettivo non fosse informare i cittadini, ma garantire la propria immagine. Non riconoscere gli errori fatti, le responsabilità, significa non riconoscere la possibilità di intervenire per migliorare la situazione, quindi ciò che voleva essere rassicurante creava un senso di angoscia maggiore”, sostiene Roberta Villa.
Nella Regione Lombardia l’emergenza è stata gestita in buona parte dalla macchina amministrativa regionale, con in prima linea il presidente delle Regione Attilio Fontana e l’assessore alla sanità e al welfare Giulio Gallera. “Sicuramente la scelta della Regione Lombardia è stata che la voce di riferimento fosse la voce della giunta, molto politica, supportata poi da un comitato scientifico”, ci confermano dalla Regione. Una scelta, forse, azzardata, stando alle critiche ricevute. “In Lombardia, davanti a una situazione drammatica come quella che stavamo vivendo, l’impressione che hanno dato sia il presidente, sia gli assessori, sia chi gestiva le conferenze stampa è che l’obiettivo non fosse informare i cittadini, ma garantire la propria immagine. Non riconoscere gli errori fatti, le responsabilità, significa non riconoscere la possibilità di intervenire per migliorare la situazione, quindi ciò che voleva essere rassicurante creava un senso di angoscia maggiore”, sostiene Roberta Villa.
Dal momento del lockdown la Regione ha deciso di puntare su una comunicazione online, sfruttando il sito regionale e i social network. Il portale istituzionale della Regione, che dal mese di marzo ha una parte dedicata alla covid-19 chiaramente visibile in homepage, nei soli tre mesi della pandemia, ha avuto 13.401.567 di visitatori unici che hanno visitato 34.330.382 pagine, contro i 15.000.000 di visitatori e le 41.500.000 pagine viste di tutti i dodici mesi del 2019. Anche i numeri dei social network sono significativi, se consideriamo che la pagina Facebook ufficiale della Regione ha superato i 230.000 follower contro i 125.000 del 2019. La Lombardia, infatti, è tra le poche Regioni italiane ad aver lanciato una campagna di comunicazione, chiamata “Fermiamolo insieme”, con la creazione dei rispettivi canali social –Facebook e Instagram – così da permettere ai cittadini di avere un punto di riferimento specifico da consultare per avere le informazioni sulla pandemia. Sui canali sono state caricate anche le pillole video di alcuni virologi e i video di oltre 200 testimonial ed influencer del mondo dello spettacolo, dello sport, della cultura, per oltre 6.000 post in totale. “In questo modo cercavamo di arrivare anche ai ragazzi, non solo dando indicazioni sui comportamenti da seguire, ma anche suggerimenti su cosa fare durante il periodo di quarantena”, spiegano dalla Regione Lombardia. È stata lanciata anche la app AllertaLOM che ha consentito a oltre 50 mila utenti di ricevere notifiche e informazioni.
Inoltre, con l’inserimento della sezione dedicata a decreti e ordinanze sull’emergenza e della sezione CercaCovid, finalizzata alla compilazione periodica di un questionario anonimo sullo stato di salute, eventuali sintomi, contatti con persone contagiate, la app che aveva inizialmente 33.000 utenti è stata scaricata e utilizzata da quasi 1.200.000 persone.
“La comunicazione regionale col tempo è cambiata anche perché nel momento in cui è esplosa la pandemia, la comunicazione dei dati epidemiologici ha preso il sopravvento”, continuano dalla Regione. Ed è proprio sulla comunicazione dei dati che fin dall’inizio sono state rivolte critiche alla Regione Lombardia, accusata di essere stata approssimativa e parziale nella comunicazione sulla crisi. La Regione, infatti, ha diffuso i numeri dei nuovi positivi accertati, dei morti, dei guariti e dei ricoverati negli ospedali, ma ci sono due numeri significativi che la Regione Lombardia non ha mai diffuso in maniera sistematica: il dato dei morti diviso per provincia e quello dei casi positivi accertati divisi per comune.
Il 6 aprile la Federazione regionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Lombardia ha inviato agli esponenti della Regione e della sanità lombarda una lettera in cui si legge: “Non è questo il momento dell’analisi delle responsabilità, ma la presa d’atto degli errori occorsi nella prima fase dell’epidemia può risultare utile alle autorità competenti per un aggiustamento dell’impostazione strategica, essenziale per affrontare le prossime e impegnative fasi. […] La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. I dati sono sempre stati presentati come numero degli infetti e come numero dei deceduti e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti”. Sono passati più di due mesi, ma stando a Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, la città lombarda più colpita dall’emergenza, ancora oggi la Regione sembrerebbe non aver rimediato. L’11 giugno, infatti, scriveva sul suo profilo Twitter: “Leggo che in Lombardia ieri ci sono stati 32 decessi per covid. Non si sa però dove, in quale provincia, perché la Regione non comunica più i dati divisi. Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti di più di quelli ufficiali, hanno secretato i dati per provincia. Neppure i dati sui guariti vengono più comunicati, e sì che sarebbero importanti per capire che oggi le persone ammalate sono poche”.
Fin dalle prime fasi dell’emergenza, inoltre, la Regione Lombardia sembra abbia scelto di vietare alle Ats regionali di organizzare conferenze stampa e alle direzioni, ma anche a medici, infermieri, operatori sanitari, di rilasciare interviste o dichiarazioni ai giornalisti se non preventivamente autorizzati. “Si tratta di un fatto gravissimo”, afferma Roberta Villa. “Tanti medici mi scrivevano per dirmi che non potevano parlare, ma che la situazione in cui lavoravano era critica a partire dalla totale mancanza dei dispositivi di protezione individuale”. Provvedimento, quindi, che nonostante dalla Regione dicono sia stato assunto per evitare confusione, sembrerebbe essere servito a non dare visibilità ad errori compiuti. “I medici sono stati lasciati soli – continua Roberta Villa – venivano a sapere le cose dai giornali, quando cercavano di mettersi in contatto con le autorità non ricevevano risposta, non avevano linee guida. Si sono dovuti organizzare tra di loro.
“Mi sembra che durante l’emergenza tutta la comunicazione sia stata molto paternalista e colpevolizzante nei confronti dei cittadini, mentre dove c’erano le istituzioni a doversi impegnare si è chiuso un occhio”. Roberta Villa
L’IMPORTANZA DI UN APPUNTAMENTO QUOTIDIANO, LA STRATEGIA DELL’EMILIA-ROMAGNA
Come abbiamo visto, nella comunicazione del rischio durante un’emergenza sembrerebbe essere fondamentale fidelizzare le persone con un appuntamento fisso quotidiano, sempre alla stessa ora, con le stesse figure di riferimento. Su questo principio si è basata la comunicazione fatta dalla Regione Emilia-Romagna, che ha scelto di comunicare con i cittadini con una diretta quotidiana sul profilo Facebook ufficiale della Regione. La diretta è diventata un appuntamento fisso quotidiano alle 17.30, poco prima del bollettino nazionale della Protezione civile. Nei giorni più neri del lockdown capitava che si collegassero anche 13.000 persone, per arrivare poi fino a 160.000 visualizzazioni per singolo video. “Partiamo dal presupposto che in Emilia-Romagna si è votato il 26 gennaio e che la legislatura è iniziata il 28 febbraio, a cavallo dello scoppio dell’epidemia. Inizialmente, quindi, con una gestione parallela che coinvolgeva la giunta uscente e la giunta entrante, la comunicazione ha preso il via con questa conferenza stampa quotidiana. I primi giorni la faceva l’assessore alla sanità Raffaele Donini, ma poi è stato contagiato dal virus. La nuova giunta, quindi, ha nominato un commissario straordinario all’emergenza, l’assessore alla sanità della giunta precedente, Sergio Venturi, ed è stato lui a tenere questo appuntamento fisso ogni giorno”, ci racconta Giuseppe Pace, direttore dell’Agenzia di comunicazione e informazione della Regione Emilia-Romagna. Molte televisioni locali hanno scelto di mandare in onda i video-messaggi, garantendo una copertura su quasi tutto il territorio e l’accesso a chi non aveva un profilo Facebook. Come ricordava anche Roberta Villa, altra regola fondamentale della comunicazione del rischio è riuscire a mostrare empatia. “Ogni diretta aveva una parte più istituzionale, in cui venivano dati i numeri, ma poi con tatto, sensibilità e umanità ha preso letteralmente per mano i cittadini nelle settimane più buie dell’emergenza, portandoli fuori dal tunnel. Per provare a empatizzare con i cittadini faceva le dirette da solo, nel salotto di casa sua, con un semplice maglione addosso. Emergevano la sofferenza, l’incertezza, i dubbi”, spiega Giuseppe Pace. Ma le dirette del commissario Venturi non erano le uniche. L’Emilia-Romagna, infatti, nelle due settimane centrali di aprile, grazie a un’iniziativa chiamata Filo diretto con la Giunta, ha chiesto a tutti gli assessori regionali di rispondere alle domande dei cittadini, in modo pratico e concreto. “Durante il lockdown eravamo invasi da richieste dei cittadini, arrivavano centinaia di mail a tutti gli uffici. Siccome era impossibile rispondere a tutte, le abbiamo raccolte, suddivise per temi e abbiamo chiesto agli assessori di rendersi disponibili per andare in diretta sul profilo Facebook della regione 30 minuti ciascuno.
Ogni assessore per il tema di sua competenza: dalla situazione sul fronte sanitario, alle ricadute che stava avendo l’emergenza su famiglie, lavoro e imprese, dai provvedimenti presi sul fronte del welfare, della scuola, della cultura fino a tutto quello che poteva essere utile sapere in quel momento”, prosegue Pace.
Con 324 notizie pubblicate sul portale istituzionale della Regione, 300 post sui profili Facebook e Twitter, 157 video su Facebook e 23 post su Linkedin, oltre alle dirette non è mancata una comunicazione standard. Dal 23 febbraio, infatti, è stata messa online una sezione interamente dedicata al nuovo coronavirus visibile nell’homepage del sito istituzionale, dove venivano pubblicati anche i comunicati stampa giornalieri che comprendevano dati in prosa suddivisi per provincia con casi, ricoveri, decessi e dimissioni. “Per uscire dalla quotidianità successivamente abbiamo iniziato a fare un approfondimento settimanale, un dossier con tabelle e infografiche che valutavano l’andamento del contagio nel medio periodo. È diventato l’appuntamento fisso del venerdì, che Venturi lanciava nella diretta del giorno”, conclude Giuseppe Pace. “Tenuto conto di tutte le difficoltà siamo soddisfatti del lavoro fatto e lo dimostrano anche i numeri: da fine febbraio a oggi, con i contenuti sulla covid-19 – post, infografiche e video – abbiamo generato su Facebook oltre 43 milioni di visualizzazioni e oltre 4 milioni di interazioni”.
TONI NEUTRI E SENZA COMMENTI, L’OBIETTIVO DELLA REGIONE LAZIO
“Dal Ministero della salute non sono arrivate linee guida nazionali in merito alla comunicazione, quindi ogni Regione si è dovuta organizzare come meglio credeva. Nello specifico, la Regione Lazio ha scelto di accentrare la comunicazione presso l’assessorato. Ogni giorno tenevamo una video conferenza con tutti i direttori generali delle Asl, dei Policlinici universitari, delle Aziende ospedaliere e delle varie Hub Covid per fare il punto della situazione quotidiana, prendere le informazioni dal territorio e comunicarle centralmente al fine di fare un’informazione disomogenea e dare un unico punto di riferimento”, spiega Giulio Notturni, consulente della comunicazione dell’assessore alla sanità della Regione Lazio.
Anche l’Irccs Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, però, soprattutto nelle fasi iniziali, ha giocato un ruolo fondamentale all’interno della Regione. In Italia, infatti, i primi casi accertati di coronavirus sono stati resi noti il 29 gennaio, con il ricovero di due turisti cinesi proprio allo Spallanzani. La sera successiva, il 30 gennaio, l’Oms ha dichiarato l’emergenza sanitaria di interesse internazionale. “La pressione dei media sullo Spallanzani è iniziata con il ricovero dei due turisti cinesi, ma è diventata uno tsunami quando, domenica 2 febbraio, il ministro Speranza, nel corso di una conferenza stampa tenuta qui da noi, ha annunciato che tre ricercatrici del laboratorio di virologia avevano isolato il virus”, ci racconta Salvatore Curiale, science communicator dell’Istituto. “Per l’occasione avevamo preparato un comunicato stampa dal taglio molto scientifico, ma non potevamo aspettarci – io almeno non me lo aspettavo – quello che è successo: l’impressione destata dall’arrivo del virus in Italia, seguita a soli due giorni di distanza dalla notizia dell’isolamento del virus, notizia in sé importante ma forse enfatizzata come se fosse stata trovata la cura alla malattia, ha generato un corto circuito informativo che ha fatto di questa notizia il titolo d’apertura di tutti i giornali e telegiornali”.

“La presenza costante in televisione e sui giornali di esperti o presunti tali, con opinioni spesso fortemente divergenti, ha finito per rendere ancora più confuso il quadro che al contrario avrebbe avuto bisogno di comunicazioni semplici improntate a un principio base, quello di precauzione: siamo di fronte a un virus nuovo di cui sappiamo ancora poco, e ciò che appare vero oggi potrebbe non esserlo più domani” Giuseppe Ippolito
La Regione Lazio ha diffuso ogni giorno sui social network e tramite comunicati stampa il bollettino con i nuovi casi positivi, i deceduti e i guariti divisi per le singole Asl. Ha scelto, inoltre, di segnalare anche il numero dei dispositivi di protezione individuale che distribuivano giornalmente, così che anche il cittadino potesse rendersi conto della gestione del problema di reperimento. Rispetto ad altre Regioni, il Lazio ha deciso di puntare molto su una comunicazione social, aiutata anche dal fatto che già a novembre l’assessore alla sanità regionale Alessio D’Amato aveva scelto di staccare il profilo di Salute Lazio dal profilo ufficiale della Regione. “A noi è interessato dare un’informazione utile, semplice, trasparente e veloce al cittadino. Per farlo abbiamo usato tutti i mezzi disponibili: stampa tradizionale, sito web, social network, conferenze stampa virtuali, ma anche app e numeri verdi”, afferma Notturni. Il Lazio, infatti, è tra le poche regioni ad aver sviluppato una app appositamente dedicata al nuovo coronavirus, chiamata App Dottor Covid. “È una app regionale che si occupa di gestione del paziente covid-19 in isolamento domiciliare, mettendolo in contatto con il medico di famiglia. Tramite l’app, ad esempio, si possono fare videoconferenze con il medico e con il pediatra di libera scelta. Ed è stata anche utile per fornire informazioni ai cittadini e per monitorare il loro stato di salute. Per chi, invece, poteva avere difficoltà a scaricarla abbiamo pensato con l’Ares 118 di attivare un numero verde che desse informazioni ai cittadini che chiamavano”, conclude Notturni.
LA STRATEGIA DELLA PUGLIA, DAI VIDEO-TUTORIAL ALLE CAMPAGNE REGIONALI
“Probabilmente la mancanza di preparazione ha influenzato più la comunicazione del rischio che il resto. Infatti, mentre un piano di preparazione della comunicazione sarebbe andato bene in tutti i casi, sia per un’influenza che per una pandemia, i piani di preparazione pandemica fatti erano incentrati sul modello influenza, con file sui vaccini, sugli antivirali e molto poco sui dispositivi di protezione individuale o sui respiratori per la terapia intensiva”. Ne è convinto Pier Luigi Lopalco, che il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, scoppiata l’emergenza covid-19, ha scelto di nominare responsabile della struttura speciale di progetto “Coordinamento regionale emergenze epidemiologiche”. Questa unità ha lavorato a stretto contatto con chi si è occupato della comunicazione, permettendogli di essere in diretto contatto con chi doveva assumere le decisioni rispetto alle misure di sorveglianza, di cura, e quindi di essere tempestivi nel comunicarlo.

“Probabilmente la mancanza di preparazione ha influenzato più la comunicazione del rischio che il resto. Infatti, mentre un piano di preparazione della comunicazione sarebbe andato bene in tutti i casi, sia per un’influenza che per una pandemia, i piani di preparazione pandemica fatti erano incentrati sul modello influenza”. Pierluigi Lopalco
La Regione Puglia ha scelto di non sovrapporsi alla comunicazione istituzionale del Governo, concentrandosi sulle disposizioni regionali tramite infografiche e materiali di comunicazione molto didascalici. “Ci è venuto molto facile agganciarci alle misure del Governo perché è stato estremamente tempestivo nell’invio di materiali, nonostante non ci sia stato un coordinamento strutturato”, racconta Bisceglia. “Col tempo abbiamo anche cercato di adeguarci al sentiment, valutando quali erano le domande più frequenti che ci venivano poste dai cittadini”. Una delle iniziative in questa direzione è stato il progetto We are in casa, che ha visto la collaborazione di tutte le agenzie regionali per mettere a disposizione dei cittadini strumenti e informazioni utili durante il lockdown, sia di intrattenimento sia di servizio. Successivamente la Regione ha prodotto un decalogo che puntava a un processo di responsabilizzazione del comportamento degli utenti, ponendo l’attenzione sulle misure corrette per la prevenzione e la ripartenza. Fondamentali sono state le pillole di Pier Luigi Lopalco, legate al desiderio di parlare a un pubblico a volte disorientato. “Il video più condiviso è stato il video-tutorial del professor Lopalco che mostrava come indossare correttamente una mascherina. Abbiamo fatto circa 40 video, al massimo di un minuto, che abbiamo messo sul nostro sito e che sono stati poi ripresi da tutti i telegiornali in maniera collaborativa e gratuita. In questo modo, attraverso la televisione, abbiamo potuto raggiungere gli anziani che non frequentano i social network”, spiega Antonella Bisceglia. Al contrario, i social network sono stati molto utili per raggiungere il pubblico più giovane. “Siamo partiti solo con Facebook e poi, grazie all’analisi degli utenti che chiamavano il numero verde da cui abbiamo costruito una mini anagrafica, abbiamo aperto il profilo Instagram regionale. Ci hanno dato un ritorno essenziale: su Facebook in 20 giorni abbiamo avuto un incremento di 25.000 follower.
Da subito, infatti, ci siamo posti il problema di raggiungere il maggior numero di persone possibili”, conclude Bisceglia. Con questo obiettivo sono stati realizzati dei video cartoon per i bambini, fino a realizzare 3 serie che nei prossimi mesi diventeranno dei fumetti. Ancora, è stato scelto di produrre una comunicazione multi-lingua, realizzando materiali di comunicazione in 21 lingue e abilitando il nostro numero verde a rispondere in 3 lingue.
Annamaria Testa, esperta di comunicazione, scrive sulla rivista Internazionale che specie in tempi difficili dovremmo sforzarci di usare parole esatte e di chiamare le cose con il loro nome. “Le parole che scegliamo per nominare e descrivere i fenomeni possono aiutarci a capirli meglio. E quindi a governarli meglio. Quando però scegliamo parole imprecise o distorte, la comprensione rischia di essere fuorviata. E sono fuorviati i sentimenti, le decisioni e le azioni che ne conseguono”. A questo proposito abbiamo visto come l’emergenza covid-19 sia stata trattata quasi ovunque con un linguaggio bellico e come forse non sia stata la scelta migliore. Come ci racconta Antonella Bisceglia, anche la Regione Puglia si è interrogata se fosse il caso di farlo. “Ci abbiamo pensato, ma non eravamo convinti di utilizzare un lessico bellico e alla fine abbiamo scartato questa opzione. La nostra scelta è stata quella di costruire una collaborazione tra istituzioni e cittadini sollecitando il senso di responsabilità di tutti, come unica soluzione per superare l’emergenza”.

DA PAPA FRANCESCO
A ZEROCALCARE,
LE NARRAZIONI SULLA COVID-19
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