numero 3
Supplemento a
RECENTI PROGRESSI IN MEDICINA
volume 114 | numero 5 | maggio 2023

di Alice Serafini, Irene Bruschi
e Viviana Forte
Fotografie di Luca Lenzotti
Introduzione di Francesco Nonino

Mentre aspetta il cambiamento, la medicina generale sta cambiando

La tessitura di storie e immagini che vi presenteremo vuole stimolare la riflessione sui nodi del cambiamento in atto in medicina generale.

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SCROLL

N ell’inchiesta di Alice Serafini, Irene Bruschi e Viviana Forte, con fotografie di Luca Lenzotti, vediamo una carrellata di luoghi di lavoro, ascoltando contemporaneamente una voce fuori campo che racconta le storie delle persone che lì operano, in luoghi diversi, geograficamente lontani tra loro, ma a tutti noi familiari: gli ambulatori dei medici di medicina generale.
Cominciamo dalle fotografie di Luca Lenzotti e da una citazione storica. Parlando di fotografia e medicina generale, è inevitabile pensare al lavoro del grande fotografo W. Eugene Smith e al suo celeberrimo progetto, commissionatogli dalla rivista Life, sulla vita di un medico di campagna della provincia americana nell’immediato dopoguerra, il Dott. Ernest Guy Ceriani. Eugene Smith, fotoreporter di guerra e sociale, grande narratore visivo che ha dato tutto sé stesso per la professione, non meno del dottore di campagna che fotografava. La genialità compositiva di Eugene Smith, il suo investimento professionale totale, unito alla cultura e ai codici visivi dell’epoca, hanno plasmato un lavoro chiaramente figlio del proprio tempo. Al centro delle immagini torreggia il medico, naturalmente maschio (impensabile allora che una donna potesse acquisire le competenze per diventare medico e spenderle con la resistenza fisica necessaria), immortalato in un bianco e nero impeccabile durante la sua professione/missione, mitizzato in una iconografia di sapore cinematografico, con paesaggi e cieli drammatici in situazioni dal tono talvolta epico.
Il lavoro di Luca Lenzotti è speculare e non meno figlio del proprio tempo rispetto a quello di Eugene Smith. Il baricentro delle fotografie non è più la figura del medico, ma sono gli spazi e gli oggetti. Per raggiungere il non facile scopo di rappresentare le persone attraverso i loro oggetti, Lenzotti utilizza con grande padronanza tecnica il medium nel modo più appropriato per la grammatica visiva del suo progetto. Sfruttando la potenzialità della sua attrezzatura di catturare i dettagli e disponendo in modo discreto ma efficacissimo un set di luci che non interferisce con quelle ambientali, riesce a farci vedere con chiarezza nei minimi particolari quegli oggetti che parlano, come fossero ritratti, delle dottoresse e dei dottori che lavorano in questi ambulatori. Guardare questi oggetti e spazi con cui e in cui lavorano, o meglio, vivono per la maggior parte del proprio tempo

INK #3 – 2023 | Mentre aspetta il cambiamento, la Medicina generale sta cambiando

queste persone, ci spiega molte cose su di loro. Arredare il proprio spazio, popolarlo delle cose più care, il diploma di cui saranno (giustamente) orgogliosi per tutta la vita, i libri-culto della formazione medica (di solito chiamati familiarmente con il nome del primo autore preceduto da un articolo: “l’Harrison”, “il Robbins”), sui quali hanno trascorso notti insonni a studiare durante l’università, le proprie care piante – che potrebbero anche stare a casa ma qui invece “fanno casa” – i cimeli storici che testimoniano l’affezione per la professione medica, ricordandoci che stiamo portando avanti un testimone vecchio come la storia dell’umanità. Sono gesti d’amore che spiegano con quale spirito stia nascendo questa nuova medicina del territorio, con segnali molto incoraggianti. Questi ambulatori puliti, arredati in modo semplice e funzionale, luminosi come ce li rappresenta Lenzotti, sono un messaggio forte di fiducia e di rinnovamento, due cose di cui in questo periodo storico sentiamo spesso una dolorosa mancanza. Se a livello estetico il cambiamento rispetto all’epoca di Eugene Smith è evidente, non altrettanto si può dire considerando altri piani culturali e sociali. A cominciare da un pregiudizio di genere duro a morire, che resiste nelle pieghe della cultura contemporanea. Ce lo ricorda una delle colleghe intervistate, affiggendo un promemoria antipatriarcale nel suo ambulatorio. Ora i tempi sono maturi per abbatterlo, non con lo scontro, ma costruendo tanti rapporti di fiducia individuali medico-paziente. Solo in questo modo il rinnovamento potrà avvenire in modo profondo e duraturo.
Le testimonianze scritte su che cosa succede in quegli spazi, che leggiamo nel testo di accompagnamento, ci fanno capire che le dottoresse e i dottori sono persone, non personaggi, con speranze e incertezze, come tutti noi. Sparisce quindi anche dal testo, come dalle immagini, un’enfasi che ritroviamo nel lavoro di Eugene Smith, ma che oggi suonerebbe inappropriata e fuori tempo.
Tuttavia, leggendo le parole delle colleghe e colleghi – soprattutto più giovani – traspare un elemento ancora attuale, 74 anni dopo. Il titolo del servizio pubblicato su Life nel 1948 recita: “His endless work has its own rewards”, il suo interminabile lavoro è anche gratificante. Il lavoro del medico di medicina generale è ancora oggi “endless”, nel senso che lo accompagna ben oltre i confini professionali, anche pensando alle innumerevoli incombenze amministrative e alle competenze manageriali che vengono richieste. E anche la gratificazione è sempre la stessa: non solo e non tanto i soldi o il prestigio sociale (peraltro molto ridimensionato rispetto ad allora), ma “… l’affetto dei suoi pazienti, il ruolo che ha acquisito nella sua comunità e la indipendenza professionale. E questo per lui è abbastanza per sopportare i faticosi ritmi di lavoro”. Lo spirito e i principi etici con cui ci si affaccia oggi alla professione sono gli stessi del Dott. Ceriani: mettere a disposizione della comunità le proprie competenze ed energie per dare salute non solo intesa come cura del corpo fisico, ma anche come supporto emotivo e psicologico, come solo un rapporto di lungo termine come quello del medico di medicina generale ha la possibilità di costruire nel tempo con i suoi pazienti.
“Mentre aspetta il cambiamento, la medicina generale sta cambiando”. Sta già cambiando, ha già iniziato. Con un gesto di fiducia per il futuro della nostra Sanità, le professioniste e i professionisti stanno già costruendo le fondamenta di una nuova, simbolica Casa della salute per tutto il Paese: è davanti a noi nelle fotografie di Lenzotti e nelle parole di questo articolo. A fronte solamente di qualche vaga promessa, una nuova generazione ha già iniziato spontaneamente a investire, arredandola con le proprie competenze, la propria energia e il proprio entusiasmo. Sarebbe una follia se le istituzioni perdessero un’occasione senza precedenti come questa per incentivare, non solo economicamente ma con tutele e infrastrutture, questa generazione da cui dipenderà la qualità della medicina territoriale del futuro.
Decisori, amministratori, opinion leader, guardate con attenzione queste fotografie e leggete queste testimonianze, informative almeno quanto le statistiche.

Francesco Nonino

Francesco Nonino vive e lavora a Bologna: medico, coniuga la formazione scientifica all’interesse per la fotografia. Laureatosi in medicina e specializzatosi in neurologia, coltiva un forte interesse per la fotografia alla quale si avvicina frequentando corsi presso l’Università e l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
È stato assistente di Annie Leibovitz a New York. I lavori di Francesco Nonino sono parte di collezioni quali la Phillips Collection e la Library of Congress di Washington, il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, l’Istituto Nazionale di Grafica di Roma, la Bibliothèque Nationale de France di Parigi e il Musée de l’Elysée di Losanna.

C onosciamo le discussioni in corso sulla medicina generale: narrazioni sul fallimento della sanità territoriale e le sue responsabilità, dibattiti sul contratto dei medici di medicina generale – convenzione versus dipendenza – e l’incertezza che permea gli annunci sul nuovo modello dei servizi sanitari e delle Case della comunità. Mentre tutto ciò accade però, e in attesa del cambiamento di sistema annunciato, qualcosa sta già cambiando nella medicina generale italiana: le persone che vi operano. Sono loro che attendono di essere raccontate ma faticano a trovare spazio nella riflessione pubblica e giornalistica.
Nelle pagine che seguono proveremo a raccontare – attraverso testi, immagini e testimonianze – le forme di questo cambiamento silenzioso in atto, scegliendo come punti di osservazione i luoghi in cui esso attualmente avviene: gli ambulatori di medicina generale sparsi per il territorio italiano. Abbiamo scelto questa prospettiva anche perché, attualmente, il dibattito sul futuro della sanità territoriale si concentra perlopiù sugli edifici, sugli spazi: quelli delle Case di comunità che devono ancora essere identificate, costruite e progettate. Nell’attesa di queste strutture però, la medicina generale continua a essere esercitata in luoghi e spazi che raccontano storie, testimoniano concetti e approcci di cura. Negli ambulatori che aprono o si trasformano si leggono i segni e i simboli di un’identità professionale in cambiamento.

L’ambulatorio – quindi la sua cultura attraverso la sua storia materiale – risulta essere un analizzatore importante per comprendere i dispositivi di cura di questa professione. L’ambulatorio, luogo dell’incontro di cura tra personale medico e assistiti, è un contesto relazionale non neutrale, ogni scelta organizzativa predispone ruoli e tempi, ovvero suggerisce posture precise della relazione medico-persona; per questo, attraverso l’osservazione dell’organizzazione materiale dell’ambulatorio, si possono fare ipotesi sul modello di medicina generale applicato (dagli arredi, alle postazioni dell’incontro, allo strumentario tecnologico etc.). Entrare nei luoghi di cura e conoscere le persone che stanno vivendo e attuando scelte di cambiamento (chi sono, le loro esigenze, valori e difficoltà) è importante per capire chi, e soprattutto come, abiterà le riforme che verranno pensate domani contribuendo a determinarne i successi o i fallimenti.
La tessitura di storie e immagini che vi presenteremo vuole stimolare la riflessione proprio sui nodi del cambiamento in atto in medicina generale partendo dal materiale raccolto nell’ambito di un nostro progetto di ricerca qualitativa parallelo. Attraverseremo i temi del ricambio generazionale, della femminilizzazione della professione, del lavoro in gruppo e dello spopolamento delle zone remote, raccontando storie che si intersecano in modo fluido, a dimostrazione della loro centralità nel panorama attuale di questa professione. Precisiamo che siamo entrati negli ambulatori che ci hanno aperto le porte e, attraverso le storie dei medici e delle mediche, abbiamo costruito una narrazione che corrisponde alla nostra lettura della situazione e che non pretende di essere rappresentativa in senso generale.
Entrate e accomodatevi.

Proveremo a raccontare – attraverso testi, immagini e testimonianze – le forme di questo cambiamento silenzioso in atto, scegliendo come punti di osservazione i luoghi in cui esso attualmente avviene: gli ambulatori di medicina generale sparsi per il territorio italiano.

IL RICAMBIO
GENERAZIONALE

Dal report dell’OMS “Building Primary Care in a Changing Europe”, che nel 2018 descriveva le cure primarie italiane come minacciate dall’invecchiamento della loro forza lavoro, sono passati 5 anni ed il momento del pensionamento massivo dei medici convenzionati nel 1978 (anno di istituzione del servizio sanitario nazionale) è arrivato. L’Italia è il paese della OECD con il maggior numero di medici di età superiore a 55 anni, che rappresentano il 56% del totale e che stanno ritirandosi dalla professione, forse con un po’ di anticipo sulle previsioni a causa della fatica accumulata durante la pandemia, con gli effetti di cui sentiamo parlare quotidianamente sui giornali. Questo pensionamento massivo, che interesserà il 50% della forza lavoro nei prossimi 5 anni1, sta lasciando spazio a una nuova generazione di medici di medicina generale che entra nella professione in età molto più giovane rispetto a quanto accaduto negli ultimi anni, spesso con un carico di lavoro già al massimale e non raramente mentre sta ancora completando il percorso di formazione specifica. Il ricambio generazionale però non procede allo stesso modo in tutte le regioni italiane, in alcune zone del paese, complici anche lo spopolamento o la scarsa efficienza e farraginosità dei meccanismi di assegnazione delle zone carenti, l’accesso alla professione è ancora lento o ostacolato.

1 Mmg, l’Enpam sosterrà la transizione – Fondazione Enpam | Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri

TORTONA, ALESSANDRIA

Il Dott. Matteo Dameri ha 30 anni e ha costruito questo ambulatorio da poco più di un anno, al momento lavora da solo con una collaboratrice di studio, ma ha predisposto gli spazi per poterli condividere al più presto con altri colleghi o colleghe. Vive a 25 minuti di macchina, ma solo qui ha potuto iniziare subito a lavorare con un numero congruo di pazienti. Ha anche un altro ambulatorio, in un piccolo comune vicino, in cui è subentrato al pensionamento di un collega. La sua speranza è quella di poter lavorare in condizioni migliori di quelle in cui si trova attualmente, solo e diviso su due ambulatori. Spera di prevenire il burnout, molto alto in questa professione, puntando su organizzazione, collaborazione e costruendo un ambulatorio che rispecchi i suoi valori: “Anche se è stato faticoso, sono orgoglioso di aver costruito questo ambulatorio come desideravo, prestando attenzione all’impatto ambientale, all’accessibilità per persone disabili e bambini, al conflitto di interessi e a un rapporto paritario con i pazienti”.

Qui ha trovato un’organizzazione degli spazi ottimale, con una stanza dedicata al colloquio e una dedicata alla visita. Ma soprattutto, ha trovato un collega col quale lavorare fianco a fianco e confrontarsi in tutti i momenti di difficoltà che questa professione prevede.

BISCEGLIE, BARLETTA−ANDRIA-TRANI

La Dott.ssa Mariagiovanna Amoroso ha 36 anni, 240 pazienti e condivide tutti gli spazi dello studio con un collega massimalista di 67 anni, il Dott. Gaetano D’Ambrosio. Ha scelto questo ambulatorio perchè qui ha trovato un’organizzazione degli spazi ottimale, con una stanza dedicata al colloquio e una dedicata alla visita. Ma soprattutto, ha trovato un collega col quale lavorare fianco a fianco e confrontarsi in tutti i momenti di difficoltà che questa professione prevede: “Condividere lo studio con il mio mentore è per me rassicurante e fonte di ispirazione, per questo considero questo posto mio sebbene non abbia contribuito personalmente ad arredarlo”. Mentre aspetta di arrivare ad un numero di pazienti sufficiente per mantenersi, svolge l’attività di medica di continuità assistenziale nei fine settimana e durante la notte a Taranto, a 130 km da casa. Nel futuro si vede in una medicina di gruppo, che considera la migliore modalità organizzativa possibile per svolgere la professione.

BOLOGNA

La Dott.ssa Ilaria Danese ha 35 anni, 1600 pazienti e ha aperto il suo ambulatorio da poco più di un anno. Ha deciso di subentrare a un collega andato in pensione in una medicina di gruppo ben strutturata, una scelta dettata sia da motivi organizzativi (hanno infermiere e personale di segreteria) sia dal clima di collaborazione che caratterizza l’équipe. È l’unica donna su 7 colleghi e il suo arrivo ha avuto un impatto ulteriormente positivo sull’affiatamento: “Da quando sono arrivata ho proposto che non pranzassimo ognuno davanti al suo computer, ma tutti insieme, come una famiglia”. Ognuno dei medici ha poi il suo modo di gestire i propri pazienti e un ambulatorio che lo rispecchia. La Dott.ssa Danese ha personalizzato l’ambulatorio con quadri, piante e oggetti. Al muro, dietro alla porta ha appeso un poster che recita “Design the end of Patriarchy”: il tema del retaggio della cultura patriarcale non è secondario nella carriera di una giovane medica, ma crede che con piccoli gesti e, soprattutto, con il proprio impegno nei confronti dei pazienti, questa mentalità possa essere superata.

Il Dott. Gabriele Spadacci ha 49 anni, 1670 pazienti ed è uno dei 7 medici che insieme a Ilaria compongono una delle più grandi medicine di gruppo di Bologna; è entrato a far parte del gruppo nel 2019 e ha dovuto aspettare a lungo prima di avere la convenzione con il sistema sanitario. Nel suo racconto si trovano molti punti in comune con quello della Dott.ssa Danese, ci descrive una medicina di gruppo in cui non vi è solo una condivisione degli spazi tra i colleghi, ma anche una condivisione di visione assistenziale: “Sono affascinato dalla storia e dal passato della medicina” ci racconta, e infatti il suo ambulatorio è pieno di cimeli, ma continua spiegando che “la medicina è parte della società e con essa evolve e per i medici di medicina generale non dovrebbe essere più possibile stare da soli”.

…una medicina di gruppo in cui non vi è solo una condivisione degli spazi tra i colleghi, ma anche una condivisione di visione assistenziale.

CAMBIO DI GENERE

La generazione che sta subentrando è molto diversa rispetto a quella che si sta ritirando anche dal punto di vista del genere: all’interno di una professione che è sempre stata prevalentemente maschile, si sta assistendo a quello che viene definito un “sorpasso”. Nel 2020 infatti il 52% delle iscrizioni under 65 all’Ordine dei Medici appartenevano a professioniste, mentre all’interno del servizio sanitario nazionale il 54% del personale medico è già di genere femminile. Secondo i dati condivisi da FIMMG (sindacato di categoria) nel 20192 il 60% dei medici di medicina generale era costituito già da donne. Questa inversione avrà profonde implicazioni sull’organizzazione del lavoro della medicina di famiglia, che sarà popolata prevalentemente da giovani professioniste, le quali dovranno conciliare lavoro, eventuali gravidanze e maternità. Un’indagine comparativa a livello europeo condotta nel 2019 descrive infatti le mediche italiane come le più insoddisfatte dei paesi dell’Unione Europea, soprattutto a causa di discriminazioni e difficoltà nella conciliazione casa-lavoro; la professione appare quindi progettata da una generazione a prevalenza maschile e fa ancora riferimento a modelli familiari e ruoli nella società che sono, nel frattempo, profondamente cambiati. La carenza attuale di professionisti e il sottofinanziamento del servizio sanitario nazionale potrebbe rappresentare un ostacolo per la ricerca di contrattualizzazioni lavorative più flessibili e personalizzate, ma senza di esse la situazione non può che peggiorare, in quanto si è già osservato come i professionisti e le professioniste, di fronte al burnout o al sovraccarico lavorativo, tendano a scegliere le dimissioni che, a lungo termine, aggravano le carenze.

2 Medicina generale. Il 60% è donna ma guadagna meno. Maio (Fimmg): “Necessario ripensare modello assistenziale” – Quotidiano Sanità

Val Vomano di Penna Sant’Andrea, Teramo

La Dott.ssa Gabriella Pesolillo ha 37 anni, 3 figli, 1560 pazienti. Lavora in questo ambulatorio da quasi due anni, insieme ad una collaboratrice di studio e a un’infermiera. L’ambulatorio dista quasi 60 km da casa sua, ma qui, anche grazie agli incentivi dell’AUSL per il personale, ha trovato un ambiente di lavoro come lo cercava. È convinta che sia possibile lavorare bene anche se l’ambulatorio è distante dalla propria casa: “Mi aspetta un’ora di macchina – elettrica – per tornare a casa dalla mia famiglia, finalmente passerò il fine settimana con i miei figli”, ci ha detto prima di lasciarci le chiavi del suo ambulatorio. Ha affittato un monolocale in paese per le notti in cui finisce troppo tardi, ma sta cercando di investire e formare la popolazione all’utilizzo della telemedicina, per superare l’idea e l’aspettativa della popolazione rispetto al medico “di una volta” sempre presente in paese e sempre disponibile. Rispetto al suo essere madre, ha scelto di fare figli prima di aprire l’ambulatorio, conscia delle difficoltà di conciliazione con la maternità.

Sta cercando di investire e formare la popolazione all’utilizzo della telemedicina, per superare l’idea e l’aspettativa della popolazione rispetto al medico “di una volta” sempre presente in paese e sempre disponibile.

COLLABORAZIONE E LAVORO DI SQUADRA

La collaborazione e il lavoro di gruppo sono tra le strategie che le nuove generazioni di medici di medicina generale identificano per riuscire a esercitare la professione di fronte alle sfide sopra citate. Recenti sondaggi3 hanno evidenziato come la quasi totalità dei giovani medici desideri esercitare la professione in forme organizzative più complesse e multidisciplinari. Nonostante non ci siano ancora dati solidi in merito, si può immaginare quanto la pandemia abbia rinforzato questa esigenza dal momento che, di converso, è già dimostrato in letteratura come il lavoro in équipe sia un fattore protettivo per il burnout dei professionisti. Purtroppo, esistono ancora grandi disparità tra le diverse regioni italiane. Per esempio il report4 “Cure primarie in Italia”, realizzato da Fondazione ISTUD nel 2013, evidenzia come in Emilia-Romagna solo il 35% dei medici di medicina generale non lavorasse in associazione, mentre in Campania la percentuale era del 70%. Il report e diversi altri studi evidenziano inoltre come un’organizzazione in gruppo, non solo abbia un impatto positivo sui medici, ma anche sui cittadini e sul servizio sanitario nazionale, consentendo di ridurre ricoveri e accessi al pronto soccorso. Ci si aspetta pertanto che il ricambio generazionale possa portare anche all’estensione delle forme associative di medicina generale aumentandone la risolutività.
3 Motivazioni e aspettative dei giovani medici che si approcciano alla medicina generale: i risultati dell’indagine online “Orgogliosamente MMG” | APRIREnetwork
4 Se il medico di famiglia si “associa”. Dimezzato il ricorso al Pronto soccorso e alla Guardia medica. E le visite dal privato crollano del 75% – Quotidiano Sanità

Qui ha trovato un’organizzazione degli spazi ottimale, con una stanza dedicata al colloquio e una dedicata alla visita. Ma soprattutto, ha trovato un collega col quale lavorare fianco a fianco e confrontarsi in tutti i momenti di difficoltà che questa professione prevede.

TORINO (1)

Il Dott. Pier Riccardo Rossi ha 59 anni e lavora in questo ambulatorio dall’agosto 2021. Nella sua carriera ha cambiato 4 sedi, organizzandosi sempre di più. All’inizio del 2021 insieme alla Dott. ssa Cristina Nolli, una giovane collega ex-tirocinante e neo-convenzionata, ha deciso di acquistare e ristrutturare un immobile, coinvolgendo i colleghi con cui già lavorava. “Cristina ha reso praticabile il progetto, che senza la sua determinazione sarebbe ancora nella mia testa”. I medici della medicina di gruppo si sostituiscono a vicenda e collaborano nella gestione dei pazienti e, nonostante la riduzione delle dimensioni degli ambulatori nella nuova sede, sono felici della loro scelta in favore della collaborazione. La Dott.ssa Patrizia Guerra, collega nella stessa medicina di gruppo, ammette che il cambiamento non sia stato privo dei necessari adattamenti: “Ho iniziato in un ambulatorio dagli spazi enormi, sola, e la mia sala d’aspetto assomigliava alla piazza del quartiere e sto concludendo la mia carriera in un ambulatorio più piccolo…”, ma è soddisfatta di aver fatto questa scelta per collaborare sempre di più. Trasferendosi nei diversi ambulatori, ha portato con sé le piante:“Sono le mie creature, alcune mi seguono anche da vent’anni.”

TORINO (2)

La Dott.ssa Patrizia Mathieu ha 63 anni e lavora in questo ambulatorio dal 2009, insieme a due colleghe ed un collega, coetanei, e due collaboratrici di studio. In ambulatorio lei e le sue colleghe trascorrono la maggior parte della giornata, di conseguenza per arredi e spazi hanno scelto un allestimento che li facesse sentire come a casa: “Viviamo qui, deve essere un posto nel quale sentirsi a proprio agio”. Negli ambulatori abbondano fotografie, ricordi, quadri, documenti e regali dei pazienti, oltre agli oggetti per il ristoro psico-fisico dei medici. ““Sono circondata dalla carta, ma la carta è memoria.”
In ambulatorio lei e le sue colleghe trascorrono la maggior parte della giornata, di conseguenza per arredi e spazi hanno scelto un allestimento che li facesse sentire come a casa.

SPOPOLAMENTO
E ZONE REMOTE

I dati Eurostat 2021 indicano che nell’Unione Europea il 28% della popolazione complessiva può essere descritta come rurale, ma poco è stato fatto per modellare i servizi sanitari di questa significativa percentuale di popolazione. La carenza di forza lavoro rurale e i posti vacanti sono onnipresenti in tutta Europa; le modifiche e gli incentivi alla formazione possono avere un impatto, ma i professionisti delle aree remote hanno bisogno di supporto per incoraggiarli a rimanere e a sviluppare in queste aree le loro carriere professionali. Un sostegno concreto dovrebbe comprendere: incentivi di retribuzione, formazione continua, alloggi abitativi, locali e attrezzature, nonché sostegno ai familiari5. Lo spopolamento delle zone rurali è un fenomeno sociale crescente in Italia, infatti, l’Istat stima che il 40% dei paesi con meno di 3000 abitanti rischia lo spopolamento entro pochi anni e la carenza dei servizi di base, tra i quali vi è anche la medicina generale, viene individuata come tra le maggiori cause di trasferimento6; si genera così un circolo vizioso difficile da interrompere che correla la carenza di popolazione e quella di medici.
È interessante notare come nel settore sanitario e non solo, la scarsità di dati e di analisi sulla situazione delle popolazioni rurali, e in particolare delle campagne remote, contribuisce alla loro invisibilità e al loro abbandono nei processi politici di molti paesi dell’Unione Europea. L’incapacità di studiare e pianificare adeguatamente i servizi sanitari rurali porterà a un ulteriore allargamento del divario tra aree rurali e urbane, favorendo quindi la crescita delle disuguaglianze7

Essere sola in questi anni le ha consentito di costruire il proprio ambulatorio con la massima libertà di personalizzazione, creando un ambiente che fosse accogliente per lei e per i pazienti.

BOGOLESE, PARMA

La Dott.ssa Miriam Carluccio ha 42 anni e ha iniziato a lavorare come titolare in questo ambulatorio nel 2018, dopo due anni dal diploma in medicina generale e diversi mesi di incarichi provvisori. Attualmente ha circa 1600 pazienti, che gestisce su due ambulatori, uno a Sorbolo e l’altro in una piccola frazione, Bogolese, distanti all’incirca 30 minuti di auto da casa. Ha tre figli e, se si ferma a pensarci, non sa bene nemmeno lei come sia riuscita a conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative, sicuramente sono stati necessari sacrifici alternativamente nei confronti dei propri pazienti o della propria famiglia. Tuttavia, finora la passione per il lavoro e la relazione che è stata in grado di creare con i suoi pazienti, anche grazie alle dinamiche di un piccolo paese di provincia, compensano le difficoltà logistiche e organizzative. Essere sola in questi anni le ha consentito di costruire il proprio ambulatorio con la massima libertà di personalizzazione, creando un ambiente che fosse accogliente per lei e per i pazienti. Per contro, sente la mancanza della relazione con colleghi e collaboratori di studio e continuerà nei prossimi anni a cercare la possibilità di lavorare insieme ad altre figure professionali.

Le difficoltà che sta incontrando sono quelle tipiche delle zone remote, è difficile prendere la convenzione con il sistema sanitario perché vengono messe a bando posizioni in poche zone carenti e, di conseguenza, è ancora più difficile avere l’opportunità di lavorare in gruppo.

MONTE SANT’ANGELO, FOGGIA

La Dott.ssa Mariagrazia Santamariaha 34 anni e ancora 0 pazienti. Lavora nel servizio di continuità assistenziale del suo paese natale, Monte Sant’Angelo (Foggia), anche se vorrebbe poter presto lavorare come medica di medicina generale.
Le difficoltà che sta incontrando sono quelle tipiche delle zone remote, è difficile prendere la convenzione con il sistema sanitario perché vengono messi a bando poche zone carenti e, di conseguenza, è ancora più difficile avere l’opportunità di lavorare in gruppo.
“È una zona che sta subendo un forte spopolamento, con i disagi delle zone remote”, ci racconta mostrandoci il presidio ospedaliero locale: da un po’ si parla di ospedale e casa della comunità ma ancora non sono previsti ambulatori di medicina generale. “Questa per me è casa mia ed è dove io vorrei lavorare.”

Alice Serafini ha 33 anni, vive e lavora come medica di medicina generale in una medicina di gruppo a Modena e ha 1200 pazienti. È cultrice della materia e tutor di medicina generale e cure primarie alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Nel tempo – poco – libero dall’ambulatorio, porta avanti ostinatamente progetti di ricerca indipendenti in medicina generale e cammina in Appennino preoccupandosi per il cambiamento climatico.

Irene Bruschi ha 34 anni, è nata e vive in Provincia di Modena. Medica di medicina generale, lavora come sostituta e in continuità assistenziale in attesa della convenzione. Da sempre è interessata alla salute mentale – di pazienti e operatori sanitari – e alla relazione terapeutica, che costituiscono i suoi principali ambiti di approfondimento e ricerca.
Nel tempo libero si dedica alla sua grande passione per la cucina, sempre con un occhio di riguardo per l’ambiente.

Viviana Forte (Roma, 1986), ricercatrice e formatrice freelance, opera come medica di medicina generale sostituta e di continuità assistenziale. Coautrice della ricerca qualitativa Medici senza camice. Pazienti senza pigiama. Socioanalisi narrativa dell’istituzione medica (Sensibili alle foglie 2013) e del recente manuale Medicina Generale e Cure Primarie. Guida teorico-pratica per MMG (Edises 2022). È appassionata di metodologie di apprendimento attivo/esperienziale nella formazione delle professioni di cura e della salute pubblica. Dal 2022 è membro della Società Italiana di Pedagogia Medica.

Luca Lenzotti è un fotografo italiano nato nel 1983. Ha una formazione accademica in Chimica Ceramica e il suo lavoro a tempo pieno è quello di Project Manager in una multinazionale con sede a Bologna. Ha studiato fotografia con Alex Webb e Rebecca Norris a Hong Kong, ha conseguito un master in fotografia editoriale presso Spazio Labò di Bologna con Giulio Di Sturco e ora sta frequentando, sempre con Di Sturco, un programma di mentorship, focalizzandosi sul reportage. Le sue storie si concentrano principalmente sulle persone; è attratto dall’impatto della tecnologia sulla vita quotidiana, dai cambiamenti geografici, atmosferici e sociali e dall’evoluzione o involuzione dei comportamenti umani.